James Boggs, La rivoluzione americana, Jaca Book, 2020.
Sfogliando questo libro si ha l’impressione di entrare nella classica macchina del tempo che porta indietro le lancette alla seconda metà del Novecento. Siamo nell’America dei blue collar, le tute blu a stelle e strisce che lavorano nel gigantesco comparto automobilistico americano. La particolarità dell’autore, James Boggs, è quella di essere un rivoluzionario nero e questo lo rende un osservatore privilegiato, appartenente contemporaneamente a due diversi “soggetti” politici: da un lato la minoranza afroamericana, dall’altra la classe lavoratrice. Da questo punto di vista il libro è un puro documento storico: scritto nel 1963 e pubblicato in Italia da Jaca Book nel “formidabile” 1968, racconta di un mondo che ancora ragiona di rivoluzione come di una possibilità, ma dopo cinquant’anni sappiamo bene come è finito il film. Se questo aspetto è irrimediabilmente datato ben diverso è il discorso se prestiamo attenzione alle molte analisi che propone Boggs. La prima è il ruolo del sindacato americano della sua ascesa e della sua involuzione ad apparato. Una sintesi rapida e molto efficace che ci mette di fronte a un tipo di organizzazione molto diversa da quella italiana. Un’altra parte del libro è dedicata alla società “senza classi” che in America era già all’opera nei primi anni Sessanta e che da noi abbiamo sperimentato solo diversi anni dopo. La lucida contrapposizione tra welfare state e warfare state, dove a una economia solidale si contrappone un mercato gonfiato dalle commesse industriali. Impressionante il discorso sulla presunta “libertà americana” che cela invece un conformismo assoluto, la paura, ad esempio di mostrarsi in fabbrica con sotto mano una rivista o un giornale radicale (pensiamo a com’era diverso da noi, con l’operaio-Cipputi che leggeva l’Unità). Un conformismo che nasce con la “caccia alle streghe” scatenata contro i comunisti negli anni Cinquanta e che finirà per isolare tutti i “radicali” americani. Per chiudere con una notazione leggera Boggs ricorda che -in preda al terrore di essere denunciati per attività antiamericane- molti gettavano via i propri dischi di Paul Robeson, considerato troppo di sinistra, un gusto musicale rivelatore di una chiara appartenenza politica. Per chi vuole approfondire la storia americana di ieri è un documento imprescindibile, utile anche a chiunque voglia capire un po’ meglio l’America di oggi.